di Matteo Zola
Le indagini hanno consentito di documentare le dinamiche associative di alcune ‘ndrine attive ad Asti, Alba, Sommariva del Bosco e Novi Ligure che, riproducendo il modello organizzativo dell’area calabrese di origine, si collocavano all’interno del locale del “basso Piemonte” il cui esponente di vertice è stato individuato nell’arrestato Bruno Francesco Pronestì. Quest’ultimo, con il ruolo di “capo società”, dirigeva e organizzava il sodalizio assumendo le decisioni più rilevanti, comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, dirimendo i contrasti interni ed esterni al sodalizio e curando i rapporti con le altre articolazioni dell’organizzazione. Sede principale del locale del basso Piemonte è Novi Ligure.
le indagini partono proprio da un’annotazione dei Ros che, durante l’operazione “Il Crimine” del luglio 2010 (che portò all’arresto di trecento ‘ndranghetisti tra Lombardia e Calabria), segnalava come uno degli indagati, tale Rocco Zangrà, si fosse recato in visita nientemeno che da Domenico Oppedisano, il capo Crimine di tutta la mafia calabrese. L’incontro, avvenuto all’ombra di un agrumeto il 30 agosto 2009 in quel di Rosarno, era stato richiesto proprio da Zangrà per chiedere il permesso di costituire un proprio locale ad Alba. Zangrà, sottoposto di Pronestì, capo del locale del basso Piemonte, scavalcò in quel frangente il suo superiore diretto causandone le ire. La torta che solleticava gli appetiti di Zangrà era però talmente gustosa da rischiare l’insubordinazione: c’era infatti da infiltrarsi nei lavori della costruzione dell’autostrada che proprio da Alba doveva passare.
Alla fine Oppedisano acconsentì solo alla creazione di una “società minore” con a capo Zangrà ma formalmente sottoposta al locale del basso Piemonte. Questa vicenda, dettagliatamente ricostruita dagli inquirenti, mostra la capacità di penetrazione e comprensione dei meccanismi mafiosi da parte delle forze di polizia che hanno partecipato all’operazione. Tra queste, oltre ai carabinieri del Ros, anche i comandi dell’arma territorialmente competenti nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Le loro indagini hanno confermato quanto già le operazioni Crimine e Minotauro avevano svelato della struttura dell’organizzazione.
Emblematici sono alcuni episodi che documentano come anche la partecipazione ad eventi lieti o tristi riguardanti gli affiliati (il funerale di un congiunto o il matrimonio di un appartenente al locale) non trovi esclusivo fondamento nella condivisione del dolore o della gioia, ma sia determinata da un ben preciso vincolo associativo che impegna ogni singolo appartenente ad essere partecipe come membro del gruppo. Esigenza che veniva ribadita anche nel corso di alcune riunioni tenutesi nell’abitazione del capo locale Bruno Francesco Pronestì, laddove gli appartenenti alla società maggiore sottolineavano la necessità di partecipazione come rappresentanti del locale, incitando quelli meno convinti a farsi carico anche di questi aspetti che comunque erano parte integrante delle incombenze inerenti la vita del sodalizio.
Comunanza di vita e norme interne, assegnazione di cariche e “doti”, solidarietà e coesione del gruppo, ma anche ferrea gerarchia di poteri e ruoli, così tra le colline di Novi Ligure, Alba e Asti la ‘ndrangheta si andava radicando sul territorio con la solita capacità di permeare il tessuto sano della società. Le indagini non hanno riscontrato legami diretti con clan radicati in Calabria. Quello del basso Piemonte era un locale autonomo seppur strettamente dipendente dal potere centarle, come la visita di Zangrà a Oppedisano testimonia.
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