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21/09/10

8 obbiettivi

Qualcuno potrebbe forse obbiettare che queste cose riguardano i grandi della terra e non le nostre piccole realtà quotidiane...forse...o forse no.

Esattamente dieci anni fa, nel settembre del 2000, furono 189 i leader radunati all'Onu per lanciare quel piano: liberare dalla miseria estrema un miliardo di esseri umani entro il 2015. Misero a punto una tabella di marcia e suddivisero l'obiettivo generale in otto punti. Ora i due terzi del periodo fissato sono trascorsi. Vediamo il bilancio relativo agli otto obiettivi, con l'aiuto dei dati forniti da una delle più rispettate ong umanitarie, Oxfam.

Primo obiettivo: sconfiggere la miseria estrema, debellare la fame. Oggi in realtà continuano a morire 10 milioni di persone all'anno per fame o malnutrizione. Il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà assoluta (meno di 1,25 dollari al giorno) resta elevatissimo: un miliardo. I maggiori progressi su questo fronte sono dovuti al boom economico di paesi ormai più "emersi" che "emergenti", come Cina India Brasile, anche se delle promettenti "chiazze" di sviluppo si sono diffuse in alcune zone dell'Africa.

Secondo obiettivo: assicurare che tutti i bambini della terra abbiano accesso almeno alla scuola elementare entro il 2015. Bilancio: negli ultimi tre anni il numero dei bambini che non vanno a scuola è sceso di 45 milioni, però sono tuttora 75 milioni ad essere esclusi da qualsiasi istruzione. Inoltre i due terzi sono bambine.

Terzo: promuovere l'eguaglianza tra i sessi e i diritti delle donne. Risultati deludenti, a cominciare dai ritardi sull'istruzione di cui sopra: sono solo 18 paesi su 113 ad avere raggiunto il traguardo della scolarizzazione di tutte le bambine.

Quarto: ridurre la mortalità infantile. Risultati: 10 milioni di bambini ogni anno continuano a morire prima di avere raggiunto il quinto anno di età. Un quarto della popolazione infantile del pianeta è afflitta dai sintomi della malnutrizione (crescita insufficiente e altre patologie).

Quinto: ridurre di tre quarti la percentuale di donne che muoiono al parto. Su questo fronte i progressi sono modesti: tuttora muoiono mille donne al giorno nel mondo per gli effetti della gravidanza e del parto: 350.000 vittime all'anno. La povertà è la causa determinante: la morte per gravidanza colpisce una donna su sette in Niger, mentre il rischio scende a 13 su 100.000 nei paesi ricchi.

Sesto obiettivo fissato nel 2000 era la sconfitta delle malattie più mortali: Hiv/Aids, malaria. Le terapie anti-Aids somministrate ai pazienti sono decuplicate negli ultimi 5 anni. Nonostante questo progresso, solo il 10% dei sieropositivi hanno accesso alle cure.

Settimo obiettivo è la sostenibilità ambientale dello sviluppo. Tuttora un miliardo di persone non hanno accesso all'acqua potabile. I danni provocati dal cambiamento climatico sono già visibili: lo scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya minaccia i corsi dei più grandi fiumi dell'Asia, la desertificazione avanza in Cina. Il paesi ricchi hanno rinviato dal vertice di Copenaghen a quello di Cancùn (dicembre 2010) lo stanziamento di 180 miliardi per aiutare i paesi più poveri a far fronte all'impatto del cambiamento climatico. Ma lo stallo tra Cina e Stati Uniti rallenta misure più coraggiose per la riduzione delle emissioni di CO2.

L'ottavo obiettivo è una "partnership per lo sviluppo", che include varie azioni: dalla cancellazione dei debiti dei paesi più poveri al trasferimento di tecnologie cruciali per la crescita. E' il più "economico" e in qualche modo condiziona tutti gli altri. Il bilancio è deludente. Per esempio rispetto ai fondi che furono annunciati nel 2005 al G8, sono stati spesi solo 119 miliardi di dollari, 26 miliardi in meno di quelli che erano stati annunciati. Altre promesse sono state sempre disattese. L'impegno solenne dei paesi ricchi di destinare agli aiuti lo 0,7% del Pil, viene tradito da tutti fuorché dai paesi scandinavi. Ora per aggirare l'ostacolo della mancanza di fondi c'è sul tappeto una proposta innovativa, sostenuta dalla Francia e dal Giappone: creare una tassa mondiale su tutte le transazioni finanziarie, e versarne una parte del gettito per gli aiuti allo sviluppo. Basterebbe una micro-tassa, quasi impercettibile, visto che il volume delle transazioni finanziarie è un multiplo del Pil mondiale. Ma la lobby dei banchieri è troppo forte da Wall Street alla City di Londra e il veto angloamericano su quest'idea è un ostacolo insormontabile. E' una beffa, perché proprio le banche sono all'origine della grande crisi economica del 2007-2009 che ha fatto pagare il prezzo più pesante proprio ai paesi poveri: un effetto di quella crisi infatti è stata un'ulteriore contrazione negli aiuti allo sviluppo.

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