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20/09/10

2015

Dal sito della Stampa

Tante promesse ma pochi soldi:
e il 2015 è vicino

Si apre a New York l'Assemblea Generale dell'Onu per discutere gli impegni presi dieci anni fa su povertà, malattie e analfabetismo
ROBERTO GIOVANNINI
Si apre oggi a New York, nel Palazzo delle Nazioni Unite, la sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Tanti capi di Stato presenti, e si parte subito con tre giornate dedicate agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, gli otto obiettivi fissati nella Dichiarazione firmata nel settembre del 2000. Gli Stati si sono impegnati, entro il 2015, a raggiungerne otto: dimezzare la povertà estrema e la fame; garantire l’educazione primaria universale; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l’Hiv/Aids, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Obiettivi che sono alla portata, e che nei cinque anni che mancano l’umanità può assolutamente centrare, a guardare i numeri. Il problema, avvertono le Nazioni Unite e le Ong che alimentano la Campagna per gli Obiettivi del Millennio, è che mancano i soldi. I soldi degli aiuti internazionali allo sviluppo. Un rapporto messo a punto dal gruppo di lavoro del segretario generale Ban Ki-moon (cui partecipano 20 agenzie Onu, ma anche Fmi, Banca Mondiale, Ocse e Wto) quantifica in ben 26,1 miliardi di dollari i fondi promessi e non versati dai Paesi ricchi nel corso del 2009. Ovviamente come tutti sanno c’è un problema che riguarda la qualità e l’efficienza con cui si spendono i danari degli aiuti internazionali. Molta letteratura ha denunciato le distorsioni prodotte da finanziamenti che spesso servono solo ad arricchire le élite che governano i Paesi poveri.

Ma gli aiuti internazionali sono necessari, anzi, decisivi, e devono essere usati bene. Nell’ormai lontano 1971 i Paesi membri dell’Onu si impegnarono a destinare agli aiuti allo sviluppo lo 0,7% del Pil. Farebbero 272,2 miliardi di dollari. Nel 2009 - che pure ha segnato il record assoluto nel volume di aiuti - sono stati effettivamente erogati solo 119,6 miliardi, vale a dire una quota pari allo 0,31% del Pil dei paesi donatori. Colpisce soprattutto lo scarto netto tra promesse e soldi effettivamente erogati. Sulla carta, i Paesi ricchi avevano assicurato 145,7 miliardi di dollari, ne hanno dati quasi 120. I peggiori sono proprio i Paesi del G8, che al vertice di Gleneagles del 2005 avevano promesso di concedere 50 miliardi entro il 2010, e di raddoppiare a 25 miliardi l’aiuto rivolto all’Africa. Oggi, il buco soltanto per l’Africa ammonta a 16,3 miliardi. Ecco la classifica dei donatori: dopo gli Usa (28,7 miliardi) c’è la Francia (12,4), Germania (12), Regno Unito (11,5), Giappone (9,5). E l’Italia, si dirà? L’Italia fa davvero una pessima figura. Nel 2009 il nostro paese ha concesso soltanto 3,31 miliardi di dollari, molto meno di Spagna, Olanda, Paesi scandinavi e Canada. Rispetto all’obiettivo Onu dello 0,7%, noi abbiamo erogato solo lo 0,16% del Pil, con una diminuzione di addirittura il 31% rispetto a quanto si dava nel 2005. Secondo le stime delle Ong italiane che alimentano la Campagna del Millennio, addirittura si prevede che nel 2010 i nostri aiuti scenderanno ulteriormente, fino a giungere allo 0,10% del Pil. All’ultimo posto della classifica dei Paesi Ocse. È un vero e proprio «caso Italia».

Perché non è solo per il nostro Paese che questi sono anni di recessione e vacche magre; in tutto il mondo i bilanci pubblici subiscono tagli. Ma nel caso dell’Italia la mannaia è calata senza criterio. Con la conseguenza di esporci a una sequela di brutte figure planetarie, come è stato per i fondi promessi (e ovviamente mai versati) in occasione del G8 dell’Aquila e della Conferenza sul Clima di Copenhagen. Come spiegano Sergio Marelli e Laura Ciacci, portavoce della Coalizione italiana contro la povertà (Gcap), «il ritardo nel mantenere gli impegni verso il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio risulta semplicemente inaccettabile». E ancor più perché tale ritardo «non è dovuto alla carenza di risorse, ma alla mancanza di volontà politica e all’impegno insufficiente profuso».

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